Lasciare un segno positivo nel mondo.
venerdì 23 maggio 2025

“Sono sempre stato curioso di sapere cosa stessi mangiando. Fin da piccolo chiedevo cosa ci fosse nel piatto, da dove veniva, com’era fatto. Ci credo così tanto che a 18 anni coltivo un orto, a 19 provo a farmi il caprino in casa.
Ho due bisnonni: uno agricoltore, l’altro mugnaio. Il figlio del primo – mio nonno – aveva una passione per la cucina, mi raccontava le ricette. Forse è lì che nasce tutto.
Studio ingegneria gestionale a Milano, ma ho già in testa un’altra idea. In famiglia ho imprenditori: nonni che hanno costruito imprese tessili, uno ha persino inventato un macchinario. Mi ispirano perché loro creavano mercato, non lo inseguivano. Comincio così a intravedere opportunità di business legate alla mia passione.
Durante l’università semino il mais spinato di Gandino, una varietà antica. Mi dicono che c’è un buon mercato per i prodotti legati alla tradizione del territorio e che si vendono subito. Inizio con tre campi in affitto. Non so nulla, imparo sul campo: raccolgo a mano, di pomeriggio, dopo le lezioni.
Poi macino il primo raccolto, faccio la polenta, la faccio assaggiare agli amici. Ne vogliono ancora. Poi mi chiedono gallette, biscotti. In pochi mesi apro la partita IVA. È gennaio 2015: rifiuto un contratto da ingegnere, voglio provarci.
Il primo fornaio non riesce a starmi dietro. Capisco che c’è spazio sul mercato e una macchina che costa 150.000 euro. Scrivo un business plan, convinco mio padre a finanziarmi. Mi dà fiducia.
Ma non basta comprare la macchina. Devo farla funzionare. Ci metto un anno a replicare il prodotto come lo voglio io: integrale, croccante, uniforme. Intanto passo le giornate a respirare olio esausto di mais. Quando ci riesco, so che è partito tutto.
Poi assumo una persona, poi un’altra. Aggiungo macchine per essiccare, pulire, confezionare. Oggi coltivo il mais, lo lavoro, lo trasformo, lo distribuisco. Faccio tutto e sforno mezzo milione di confezioni l’anno.
Gli errori? Tanti. Ho perso raccolti, clienti, soldi. Ma ogni errore mi insegna qualcosa. Imparo quanto posso sbagliare, quanto posso permettermi di perdere. “Fai passi non più lunghi della gamba”, dicevano i miei nonni. E io li ascolto.
Col tempo capisco che delegare è fondamentale. Non puoi fare tutto da solo. Quando ti fidi degli altri e dai responsabilità vere, le persone l’azienda la sentono loro. Io ho fiducia. E finora ha funzionato.
Mi rifugio nello sport, nei miei figli, negli amici. La salute viene prima del lavoro. Perché se non stai bene tu, non reggi. E se ci credi davvero, quel benessere arriva anche al cliente. È un messaggio che passa.
Cosa vorrei che rimanesse di tutto questo? Un buon esempio, per i miei figli, per chi lavora con me. Coltivo la terra per nutrirla, non per sfruttarla. E spero che tutto questo lasci un segno positivo, anche piccolo, ma che contribuisca a rendere il mondo un posto migliore per tutti.”
Adriano Galizzi è imprenditore agricolo, fondatore e proprietario di Agrigal.
Adriano parteciperà all’evento “Innovare con l’IA Generativa: le nuove frontiere per il digital marketing”, che si terrà a Bergamo il prossimo 28 maggio.
Per iscriversi: https://shorturl.at/Myf2z
Scopri di più sul progetto qui https://www.mondodigitale.org/progetti/job-digital-lab